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Per Aspera Ad Veritatem n.8
Corte d'Assise d'Appello di Milano - Sentenza n.46/87 del 22.6.1987




La seguente sentenza, emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano - a seguito dell'appello promosso avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Pavia in data 30.4.1984 - nei confronti, tra gli altri, di alcuni dirigenti della Questura e della Digos di Pavia, viene pubblicata, in stralcio, nella parte ritenuta di specifico interesse per la presente pubblicazione.


LA CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI MILANO

Composta dai signori: Presidente Dott. Guido SALVINI; Dott. Alessandro Maria LODOLIN - Consigliere; Sig. GIAMPIETRO - Giudice popolare; Sig.ra Lucilla NADIN in ZANOLDI - Giudice popolare; Sig. Franco CERNUSCHI - Giudice popolare; Sig. Lorenzo MONTI - Giudice popolare; Sig. BREDEON - Giudice popolare; Sig.ra Vita CATANIA - Giudice popolare


SENTENZA
NELLA CAUSA DEL PUBBLICO MINISTERO
CONTRO

(....)

Ritenuto in fatto (1)
I dirigenti della Questura e della Digos coinvolti nel presente processo sono stati accusati di favoreggiamento nei confronti di tale LONGO Renato, il quale avrebbe svolto un preciso ruolo di collaboratore, infiltrato nell'organizzazione delle Brigate Rosse, al fine di raggiungere importanti risultati nella lotta contro il terrorismo.
A tal fine, i predetti dirigenti avrebbero fornito protezione e supporto tecnico-logistico al LONGO e ai suoi familiari contro eventuali azioni violente di militanti BR ancora in libertà.
In questa prospettiva, sono stati considerati e valutati i fatti dal primo giudice della Corte d'Assise.
Affermata la verità storica dei fatti, la Corte di primo grado ritenne infatti insussistente l'elemento soggettivo dei singoli reati contestati sul rilievo che nel delitto di favoreggiamento personale non è sufficiente, per l‘esistenza del dolo, la coscienza e la volontà di realizzare la condotta descritta dalla norma incriminatrice; se in realtà quella condotta aveva aiutato taluno, non ne consegue necessariamente che l'agente era stato animato da una volontà esclusivamente diretta a recare aiuto, non potendosi escludere che scopo della volontà potesse anche essere diverso, pur dovendo necessariamente passare attraverso un'attività materiale concretizzantesi in un aiuto.
Bisognava quindi verificare, secondo la predetta Corte, se la volontà dell'apparente favoreggiatore era in realtà, quando era sorta e si era determinata, volta ad aiutare (dolo) oppure era esclusivamente diretta non a favorire, bensì, sia pure come momento strumentale, a raggiungere un risultato lecito o addirittura di giustizia e del tutto conforme a quelli che erano al momento gli scopi delle ricerche e delle indagini di Polizia:
la cattura di elementi di spicco di organizzazioni eversive.

Ritenuto in diritto
Pare opportuno a questa Corte trattare per primi i reati di favoreggiamento personale contestati al capo 29 lett.A al (.....) ed al capo 29 lett.B allo stesso (.....) ed al (.....) ed al capo 35 al (.....) Giovanni. Le relative pronunce di assoluzione del primo Giudice, infatti, nel silenzio del P.M. di udienza sono state impugnate dal Procuratore generale.
L'esame della fondatezza di questa doglianza e, soprattutto, il suo superamento consente di individuare, ed è punto fondamentale di questo processo, l'intento che aveva animato il (.....) ed il (.....), in tutta la complessa operazione che li aveva visti protagonisti anche se non i soli, come traspare ufficiosamente ed ufficialmente dagli atti processuali (v. in proposito le pronunce di archiviazione dell'Autorità Giudiziaria di Brescia pronunciate in favore di magistrati inquirenti).
Questo intento - non contestato nella sua verità obiettiva dal P.M. nei suoi motivi di gravame avverso altri capi della sentenza impugnata e, nella sostanza, neppure dallo stesso P.G. la cui unica osservazione al riguardo, del tutto formale ed assolutamente generica e, quindi, non degna di esame, è stata "ammesso per assurdo che si possa di fatto sostenere che gli imputati aiutarono LONGO..." - deve essere individuato, come esattamente evidenziato dal primo Giudice, con ampia ed esauriente relazione, nel perseguimento e nel conseguimento di un fine che, in riferimento all'epoca in cui gli avvenimenti si erano svolti, era essenziale per la stessa sopravvivenza dello Stato democratico e repubblicano: la sconfitta del terrorismo per mezzo della cattura dei suoi esponenti più rappresentativi. E questo raggiunto era un risultato, anzi il risultato, di polizia giudiziaria di gran lunga il più atteso non solo dalle autorità di polizia giudiziaria ma anche da quelle politiche e dell'intero Paese.
Quindi, si può affermare, senza tema di essere smentiti, che la cattura dei terroristi era proprio il risultato verso il quale tendevano e al cui raggiungimento erano rivolte tutte le attività di ricerca e di investigazioni delle varie autorità a ciò preposte, con la conseguenza che ogni condotta finalizzata a questo fine e nell'ambito di questo fine non può essere definita antigiuridica anche se, nel caso concreto, si fosse concretata materialmente in un "reato" e come tale integratrice della fattispecie criminosa di cui all'art. 378 c.p..
La condotta prevista in questa norma penale è sanzionata perché viola oggettivamente e soggettivamente il bene giuridico protetto dalla norma stessa e cioè l'interesse dell'amministrazione della giustizia a non vedere eluse o almeno rese più difficoltose, in genere, le sue indagini volte alla prevenzione e alla repressione dei reati ed alla cattura dei responsabili.
Ora, nel caso in esame, l'interesse dell'amministrazione della giustizia, che nella realtà era quello di debellare il terrorismo con l'arresto dei suoi capi e dei suoi esponenti di spicco, non era stato non solo eluso ma nemmeno scalfito; anzi, proprio attraverso le condotte incriminate era stato perseguito ed osservato completamente. E' mancante, pertanto, nella fattispecie penale contestata non solo l'evento giuridico - trattandosi di reato di pura condotta - ma anche l'elemento soggettivo e cioè la volontà di porre in essere una condotta idonea a produrre quell'evento: l'intenzione, invero, alla quale si era modellata l'azione era stata, invece, quella di conseguire un risultato, certamente rilevante e del tutto corrispondente al fine di giustizia a cui tutta l'attività antiterroristica era protesa.
Si può, quindi, con tutta sicurezza affermare che il comportamento osservato dai funzionari era stato materialmente e soggettivamente idoneo, con un giudizio ex ante, a raggiungere il risultato predetto. Questo comportamento, inoltre, che si era modellato su quel fine era, in quel momento storico, tenuto conto - e questo è già un elemento essenziale di valutazione dal quale non si può prescindere - del fatto che si era appena proceduto all'arresto di MORETTI, FENZI ed altri terroristi, il solo che presentava obiettive probabilità di successo nella lotta contro il terrorismo.
In altri termini, detto comportamento appariva, ed in realtà lo era, il più idoneo sia in senso assoluto che relativo al conseguimento rapido dello scopo più sopra precisato; l'elemento della rapidità era anche essenziale e, quindi, non poteva essere trascurato per un'efficace azione di prevenzione di futuri fatti criminosi.
Il fine pubblico che aveva colorato di sé la condotta dei funzionari non si era raggiunto ma aveva sostituito quello più particolare della norma incriminatrice dell'art.378 c.p.; di talché se un aiuto era stato portato lo stesso era nel senso di un aiuto soggettivamente finalizzato, e come tale capace di dare un senso univoco in direzione di finalità pubbliche, ad una condotta oggettivamente necessitata.
L'esistenza di un interesse pubblico incombente e determinante è provato, nella realtà e nel processo, dal fatto che l'operazione di infiltrazione venne approvata a livelli superiori sia giudiziari che amministrativi, come è dimostrato dall'esborso del Ministero dell'Interno di una considerevole somma di denaro da consegnare tramite i funzionari dipendenti al LONGO.
Per quanto detto, se non può dubitarsi che il fine che aveva animato gli imputati (.....) e (.....) era stato un fine di natura pubblica corrispondente a quello proprio dell'Amministrazione da cui dipendevano, ne discende che l'attività materiale di malversazione contestata al secondo, costituente un aspetto essenziale della più complessa attività preparatoria di infiltrazione, era stata anch'essa determinata dal conseguimento non di un profitto personale o di terzi, bensì pubblico. Viene, così, a mancare, sul piano del diritto sostanziale penale, l'elemento soggettivo richiesto per l'esistenza del delitto di malversazione.
Il rilievo del P.M., secondo il quale l'opportunità di concedere a LONGO idonea copertura avrebbe potuto essere soddisfatta con il consegnare a costui documenti predisposti " ad hoc", è del tutto infondata in quanto, da un lato non può prescindere dalla formazione di documenti, comunque, falsi ideologicamente, dall'altro dimentica la fondamentale esigenza alla rapidità di inizio dell'operazione che doveva necessariamente coincidere con la liberazione immediata del LONGO se si voleva evitare la identificazione di costui nel delatore. Caduta l'imputazione di malversazione contestata al (.....) al capo 31, è venuto meno il presupposto lecito essenziale per l'esistenza della ricettazione contestata a (.....), a (.....) ed a (.....) del capo 17 bis.
L'assenza del dolo nel delitto di favoreggiamento personale contestato al (.....) comporta necessariamente uguale carenza in relazione all'identica imputazione sollevata nei confronti di (.....) Giovanni.
Sul punto, può accogliersi interamente l'argomentazione svolta dal primo Giudice secondo il quale l'autorevolezza della richiesta rivolta al (.....), legata alla funzione svolta dal richiedente (.....), portava necessariamente ad escludere che il prevenuto volesse prestare aiuto al LONGO nel senso indicato dalla norma dell'art.378 c.p..

PER QUESTI MOTIVI

la Corte visti gli artt.523, 479 c.p.p. e 1 e segg. D.P.R. 16.12.1986 n.865 giudicando in grado di appello avverso la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Pavia in data 30 aprile 1984, in parziale riforma della sentenza medesima (2) , così provvede:
- assolve (.....) dalle imputazioni di cui al capo 29 lettere c) e d) trattandosi di persona non punibile perché il fatto non costituisce reato per l'esimente di cui all'art.384 c.p.; assolve lo stesso (.....) dalla imputazione di cui al capo 30 perché il fatto non costituisce reato; conferma per il resto nei confronti del (.....) l'impugnata sentenza.
- assolve (.....) dalla imputazione di cui al capo 24 e (.....) dalle imputazioni per cui aveva riportato condanna per non aver commesso il fatto;
- assolve (.....) e (.....) dalle imputazioni di ricettazione relativa al secondo episodio contestato al capo 66 e attinente all'acquisto di circa 100 anelli d'oro per non aver commesso il fatto; conferma l'impugnata sentenza per quanto attiene al primo episodio contestato ai medesimi (.....) e (.....) nel suddetto capo 66 di rubrica e per l'effetto riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche che dichiara equivalenti alla contestata recidiva riduce la pena loro inflitta determinandola per (.....) in mesi otto di reclusione e £300.000 di multa e per (.....) in mesi quattro di reclusione e £200.000 di multa.
- dichiara di non doversi procedere nei confronti di (.....) per estinzione delle contravvenzioni loro rispettivamente ascritte per intervenuta trascrizione.
- dichiara di non doversi procedere contro (.....) in ordine alla contravvenzione loro ascritta al capo 15 per intervenuta prescrizione ed in ordine al reato di falso loro ascritto al capo 18 di rubrica perché estinto per intervenuta amnistia e, per l'effetto, dichiarata la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, riduce la pena loro inflitta determinandola per ciascuno di essi in anni due, mesi otto di reclusione e £1.000.000 di multa.
- revoca le pene accessorie inflitte a (.....).
- esclude la responsabilità civile del Ministero dell'Interno nei confronti delle parti civili(.....).
- condanna gli imputati (.....) alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalle parti civili(.....), spese che liquida in £2.400.000, comprensive di diritti ed onorari.
- rigetta l'istanza di concessione di una provvisionale in favore delle parti civili (.....).
- conferma nel resto la impugnata sentenza.

Milano, 22 giugno 1987


(*) In considerazione della voluminosità delle premesse di fatto, coinvolgenti l'intera vicenda oggetto del processo, per evidenti ragioni di spazio, si è provveduto, a cura della redazione, ad operare una breve sintesi degli accadimenti d'interesse, riportando, invece, fedelmente la parte della sentenza concernente le considerazioni di diritto e le conclusioni.
(1) In considerazione della voluminosità delle premesse di fatto, coinvolgenti l'intera vicenda oggetto del processo, per evidenti ragioni di spazio, si è provveduto, a cura della redazione, ad operare una breve sintesi degli accadimenti d'interesse, riportando, invece, fedelmente la parte della sentenza concernente le considerazioni di diritto e le conclusioni.
(2) La Corte d'Assise di Pavia, con la citata sentenza del 30.4.1984, aveva già assolto in primo grado uno dei dirigenti coinvolti "perché il fatto non costituisce reato".

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